Come funziona il sistema misto per la pensione

Come funziona il sistema misto per la pensione?

03 Mar 2025
Scritto da Redazione Previdenza Cooperativa
Come funziona il sistema misto per la pensione

Il sistema pensionistico misto è stato introdotto con la riforma Dini del 1995 (Legge n. 335/1995), che ha apportato profondi cambiamenti alla previdenza pubblica italiana.

In questo articolo analizzeremo innanzitutto come funziona questo sistema e come si colloca rispetto agli altri due metodi di calcolo delle pensioni: il retributivo e il contributivo. Successivamente, vedremo chi rientra nel calcolo misto, soffermandoci sulle date e sull’anzianità contributiva richieste.

Approfondiremo poi le basi di calcolo dei tre sistemi – retributivo, contributivo e misto – per capire come viene determinato l’importo della pensione.

Infine, alla luce di quanto emerso, ci soffermeremo sul perché è sempre più necessario per i lavoratori valutare l’adesione a un fondo pensione negoziale, così da integrare il proprio reddito una volta in pensione.

Cos’è il sistema pensionistico misto?

Il sistema pensionistico misto è stato introdotto nel 1995 dalla Legge n. 335/1995 – contenente una serie di importanti riforme volte a far fronte alle difficoltà crescenti del sistema previdenziale pubblico – per garantire una transizione graduale dal metodo retributivo al metodo contributivo

In sintesi, con il metodo retributivo l’assegno pensionistico viene calcolato in percentuale alla media delle ultime retribuzioni percepite (generalmente l’apice della carriera del lavoratore); con il metodo contributivo, invece, il criterio adottato per la definizione dell’assegno pensionistico è rappresentato dal totale dei contributi versati durante la vita lavorativa.

Dal momento che il passaggio dal retributivo al contributivo “puro” avrebbe causato bruschi cambiamenti peggiorativi negli assegni pensionistici di chi aveva già accumulato una significativa anzianità contributiva con il vecchio sistema, il legislatore ha scelto di introdurre un sistema misto per accompagnare gradualmente i lavoratori nel passaggio da un sistema all’altro.

Esso si distingue per la coesistenza di queste due modalità di calcolo della pensione:

  • il metodo retributivo, che viene applicato ai periodi di lavoro antecedenti al 31 dicembre 1995;
  • il metodo contributivo, che viene applicato ai periodi successivi a tale data.

A chi si applica il sistema misto?

Il sistema pensionistico misto è stato applicato a quei lavoratori che, al 31 dicembre 1995, erano già iscritti alla previdenza pubblica. Tuttavia, l’anzianità contributiva maturata fino a quella data rappresenta uno spartiacque che determina modalità di calcolo differenti.

Nel dettaglio:

  • chi, al 31 dicembre 1995, aveva meno di 18 anni di contributi rientrava nel regime misto, con una parte della pensione calcolata con il metodo retributivo (per i contributi versati fino a quella data) e una parte con il metodo contributivo per quelli successivi (a partire dal 1° gennaio 1996);
  • chi, invece, aveva già accumulato almeno 18 anni di contributi ha continuato a beneficiare del metodo retributivo fino al 31 dicembre 2011, per poi passare al contributivo dal 1° gennaio 2012 in avanti;
  • infine, i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi solo dopo il 1° gennaio 1996 rientrano interamente nel sistema contributivo.
schema contributi pensione

Di fatto, il sistema misto ha interessato la generazione di lavoratori che, negli anni ’90, si trovava nella fase centrale della propria carriera. Questi soggetti hanno vissuto in prima persona la transizione del sistema previdenziale italiano, vedendo cambiare le regole di calcolo della propria pensione nel corso della vita lavorativa.

Il sistema misto ha coinvolto diverse categorie di lavoratori, tra cui dipendenti pubblici e privati, autonomi e parasubordinati. Tuttavia, con il passare del tempo, il numero di persone soggette a questo regime è destinato a diminuire, lasciando spazio esclusivamente al sistema contributivo puro.

Come funziona il calcolo misto retributivo-contributivo?

Come visto, il calcolo della pensione nel sistema misto combina due diverse metodologie, applicate ai rispettivi periodi della carriera lavorativa. 

Per comprenderne il funzionamento, è utile analizzare separatamente le due componenti e il modo in cui si integrano.

1. Quota retributiva

Si applica ai contributi versati fino al 31 dicembre 1995 (o fino al 31 dicembre 2011 per chi, alla fine del 1995, aveva più di 18 anni di contributi). 

Come accennato, il calcolo si basa sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro, opportunamente rivalutate. Questo metodo presenta un tasso di sostituzione relativamente elevato, ovvero un rapporto più favorevole tra il primo assegno pensionistico e l’ultimo stipendio.

2. Quota contributiva

Si riferisce ai contributi versati dal 1° gennaio 1996 (o dal 1° gennaio 2012 per chi, alla fine del 1995, aveva più di 18 anni di contributi).

Tali contributi vengono accumulati in un montante individuale, rivalutato annualmente in base all’andamento del PIL (Prodotto Interno Lordo), che riflette la crescita o la decrescita dell’economia italiana. Al momento del pensionamento, il montante contributivo viene trasformato in rendita attraverso i coefficienti di trasformazione, che variano in base all’età e vengono periodicamente aggiornati per tenere conto dell’aspettativa di vita.

L’equilibrio tra i due sistemi

La pensione finale è data dalla somma della quota retributiva e di quella contributiva. A parità di contributi versati, l’importo complessivo risulta inferiore rispetto a quello del sistema interamente retributivo, ma più alto rispetto alla pensione calcolata esclusivamente con il metodo contributivo.

L’importanza della previdenza complementare

Il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo, compresa la fase di transizione del sistema misto, rende indispensabile una riflessione sull’importanza della previdenza complementare per chi si avvicina alla pensione

Come detto, infatti, il sistema contributivo comporta assegni pensionistici più “leggeri”, con un impatto finanziario che potrebbe essere anche rilevante per chi esce dal mondo del lavoro. 

L’adesione alla previdenza complementare rappresenta dunque sempre di più un valido strumento per integrare, senza sostituire, quella obbligatoria, contribuendo a mantenere un adeguato tenore di vita anche dopo il pensionamento. In questa direzione va, ad esempio, la Legge di Bilancio 2025, che attribuisce un ruolo centrale alla previdenza complementare per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro.

Optare per l’adesione a un fondo pensione negoziale, come Previdenza Cooperativa, offre numerosi vantaggi, tra cui:

  • una pensione integrativa che affianca quella erogata dall’INPS;
  • il contributo del datore di lavoro, a condizione che il lavoratore versi un contributo mensile a proprio carico;
  • rendimenti potenzialmente più vantaggiosi rispetto alla rivalutazione del TFR lasciato in azienda;
  • la possibilità di accedere, in determinate condizioni, ad anticipi o riscatti prima del pensionamento;
  • benefici fiscali applicabili in tutte le fasi: versamento dei contributi, gestione del fondo ed erogazione della prestazione pensionistica.

Sul tema consigliamo la lettura della nostra guida Cosa sapere prima di aderire a un fondo pensione negoziale.

Messaggio promozionale riguardante forme pensionistiche complementari. Prima dell’adesione leggere la Parte I “Le informazioni chiave per l’aderente” e l’Appendice “Informativa sulla sostenibilità” della Nota Informativa.

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